Regista di videoclip musicali, Davide Marengo esordisce nel lungometraggio di finzione con Notturno Bus con Valerio Mastandrea e Giovanna Mezzogiorno.
di Nicoletta Gemmi per "Primissima" (Agosto 2007)
Come è arrivato il progetto di Notturno Bus e conosceva il romanzo di Giampiero Rigosi?
E' stata una strana coincidenza perché proprio nel periodo in cui il produttore Sandro Silvestri stava cercando un regista per questo film, mi ha contattato - circa tre anni e mezzo fa - e io avevo già letto, un anno prima, Notturno Bus di Rigosi. Tra l'altro è un libro che avevo molto molto apprezzato e poi, rileggendolo prima di cominciare a girare il film, vedevo proprio le scene, mi immaginavo come lo avrei girato. E' un libro molto cinematografico.
Notturno Bus mette insieme vari generi cinematografici: il noir, la commedia, il poliziesco, azione, commedia romantica, con rimandi anche ai film italiani di serie B. Quanto la stuzzicava questo aspetto della storia e quanto la preoccupava anche perché non deve essere semplice da realizzare?
Nella sua domanda c'è anche la risposta, nel senso che l'aspetto che più miintrigava e che allo stesso tempo più mi spaventava - e che metteva in difficoltà sia me per realizzarlo che il produttore per riuscire a finanziarlo - era proprio la commistione dei generi. Questo mix di generi è quello che mi ha permesso di giocare con gli stereotipi del cinema. Io sono un super-appassionato di cinema, mi vedo veramente di tutto, di tutti i generi, mi vedo tantissimi film e quindi avere la possibilità di attingere da ciò che amo era la stessa sensazione che prova un bambino davanti alla nutella.
E allora a questo proposito a chi si è ispirato maggiormente? Dato che il film presenta tratti molto hitchcockiani con il 'giovane e innocente', la 'femme fatale' e il pretesto. In questo caso il microchip che tutti vogliono...
Sì è vero volevo assolutamente che ci fosse il classico MacGuffin hitchcockiano che è proprio il microchip che tutti vogliono e che, non a caso, nemmeno si sa che cosa contenga e alla fine si rivela assolutamente inutile, come tutta la fatica che i personaggi fanno per averlo che si rivela anch'essa totalmente vana. Tornando ai registi, io ho dei modelli, ma chiaramente sono soltanto dei modelli da spettatore. Sono ancora un regista troppo giovane per aspirare a, non dico paragoni, ma nemmeno citazioni di grandi maestri. Comunque adoro Kubrick, Polanski, Hitchcock... e ho pensato molto, mentre giravo Notturno Bus, ai fratelli Coen perché fanno spesso film che mischiano nera e commedia insieme quindi... ma ripeto con tanta umiltà.
Come avete messo insieme questo cast, così azzeccato, con personaggi così caratterizzati? Penso al Diolaiti di Citran, il Matera di Fantastichini e anche i due protagonisti...
Per quanto riguarda Citran, ad esempio, abbiamo proprio pensato a dargli un personaggio che è l'esatto contrario di quello che ti viene in mente guardando lui. Anche perché fino ad ora ha interpretato ruoli, magari di marito dimesso, o di uomo un po' bastonato dalla vita. Mentre qui è un sadico degno di Hostel. Anche lui, personalmente, ha accettato molto volentieri, proprio per il desiderio che gli attori hanno di variare, e che riescono ad esaudire molto, molto raramente. Quindi abbiamo cercato attori che risultassero sorprendenti nei panni di quei personaggi.
A quale di questi personaggi si sente più vicino o quale ha amato maggiormente e perché?
Sono affezzionato a tutti perché sono molto diversi e hanno tutti un lato umano che mi affascina. Se ne devo scegliere uno dico però Matera, quello interpretato da Ennio Fantastichini, il personaggio più malinconico e tragico. La cui morte sia nel romanzo che nel film sorprende, sia il lettore che lo spettatore, non te lo aspetti. Ma lui è il classico personaggio che cerca di cambiare il suo destino in tre secondi senza aspettare il tempo che necessita un cambio di una intera vita e, così, la sua fine non può essere che tragica. Viene punito per questa sua sottovalutazione.
E' anche quello che ha rinunciato all'amore e si aspetta di poterlo riconquistare...
Eh sì, ha rinunciato all'amore e diciamo che, quello che non è riuscito a lui, fa di tutto perché riesca a Franz e Leila. Ma rinunciando all'amore, rinuncia anche alla vita.
La regia è davvero notevole (merito anche del bravissimo direttore della fotografia Arnaldo Catinari). Montaggi serrati, non scontati, tagli musicali, ritmici. Cosa è stato più difficile da realizzare? Tipo: l'inseguimento fra i due autobus... Notturno Bus è pur sempre il suo primo lungometraggio di finzione.
Io penso che, alla fine, girare bene sia molto facile. Quello che trovo invece davvero difficile è comunicare la credibilità delle emozioni, in modo che lo spettatore possa seguire la storia e la psicologia dei personaggi. Questa è la cosa alla quale tengo di più, al di là che ci sia riuscito o meno. E così per me è stato più complesso girare la scena di Leila e Franz (Mezzogiorno e Mastandrea) nella tappezzeria, nascosti, mentre si fanno dichiarazioni e poi si baciano, che l'inseguimento dei due autobus. Detto ciò, girare un inseguimento così comporta veramente tante difficoltà e sono molto contento di come è venuta la scena, è stato anche divertente.
Avere un low-budget (anche se non bassissimo) per un film di azione è un problema aggirabile?
Posso dirvi che sullo schermo risulta sicuramente più ricco di quello che in realtà è stato. E comunque sì è un grosso problema non avere tanti soldi e soprattutto poco tempo. Quando io e Arnaldo Catinari abbiamo saputo il budget e che dovevamo girare il film in otto settimane... ci siamo scambiati un'occhiata davvero perplessa. Poi con coraggio e caparbietà ci siamo lanciati in questa avventura e devo dire che abbiamo avuto davvero tanta soddisfazione.
Giusta soddisfazione perché il film ha esordito bene (è uscito nelle sale l'11 maggio) e ha ricevuto ottime critiche dalla stampa. Ha avuto sicuramente un buon lancio e 195 copie per un film italiano è un numero dignitoso...
Sì è andato bene, al primo week end è arrivato terzo in classifica, tenendo conto che al primo posto c'è Spider-Man 3 che è un colosso. Il risultato che abbiamo ottenuto possiamo definirlo buono.
E la collaborazione con Daniele Silvestri? Quando ha pensato di inserire Mi persi e La Paranza nel film?
Mi persi entra dentro la colonna sonora del film mentre La Paranza è sui titoli di coda. Io e Daniele ci conosciamo da tanti anni, siamo amici, oltre ad avere già lavorato insieme varie volte in passato tra videoclip e backstage girati da me sui suoi lavori. Mentre giravo il film sapevo che lui aveva scritto un album nuovo che avrebbe segnato il suo ritorno sul mercato discografico e così gli ho chiesto di farmi sentire dei pezzi. Li ho sentiti e ho scelto quei due.
Tutto prima di Sanremo 2007 quindi?
Molto prima. Molto prima di sapere che poi lui avrebbe presentato La Paranza alla selezione per il festival e che sarebbe stato scelto.
E' già sul set. Cosa sta facendo?
Esordisco nella regia di una fiction televisiva. Una nuova esperienza che mi sta divertendo anche perché lavoro con una troupe e un cast di miei coetanei nonostante il pubblico cui è mirato sia quello ampio della prima serata di Raiuno. E' un progetto che Rai Fiction e i produttori, Roberta Manfredi e Alberto Simone hanno voluto affidarmi rompendo un po' le consuetudini, e ho accettato molto volentieri. Anche perché c'è la possibilità di girare in pellicola, con attori bravi e sceneggiature ben scritte. Non c'è molta azione come in Notturno bus ma molti delitti da raccontare e le atmosfere della provincia toscana, dove i film sono ambientati, sono stimolanti da girare.
Intervista di Davide Marengo per il libro "Saranno Famosi? Atto Terzo" edito da Lindau.
di Carlo Tagliabue (01/2007)
Non
ho mai pensato ad un altro mestiere diverso da quello che faccio da
quando ho più o meno 14 anni. Ho iniziato come fotografo e ho
sfruttato questa passione per l’immagine per accedere sui set
cinematografici o di corti e videoclip di ragazzi poco più grandi
di me. Realizzavo backstage prima fotografici poi video.
Non ricordo di avere avuto un motivo ideale per iniziare se non un forte
desiderio istintivo che mi ha sempre spinto a raccontare storie per
immagini attraverso linguaggi sempre diversi.
Non sempre l’ho fatto ma quello che mi interessa esplorare attraverso
le immagini in movimento è il comportamento umano, sia esso ripreso
“dal vero” attraverso il documentario, sia attraverso
la “finzione” di una sceneggiatura o di una storia
che sia emblematica. Mi interessa poterlo fare attraverso i vari generi,
siano essi comici, surreali, noir, favolistici o drammatici.
Dopo numerosi cortometraggi, videoclip e backstage di film, che mi hanno
aiutato a conoscere e dominare il mezzo, ho realizzato finalmente il
mio esordio cinematografico, anche se un po’ anomalo: “Craj”.
“Craj” è un film documentario per
il cinema sulla musica popolare pugliese realizzato in modo sperimentale,
spartano, quasi senza mezzi e con un mix di linguaggi, generi e tecniche
che vanno di pari passo con la realtà così ricca di diversità
come quella della tradizione musicale pugliese che racconto nel film.
Diversità arricchita dalla presenza importante di Teresa
De Sio e Giovanni Lindo Ferretti, anche ideatori
dello spettacolo dal vivo che è il punto di partenza del film.
E’ stata un’esperienza di vita estremamente emozionante
che senza saperlo troppo racconta una parte di me e della mia infanzia,
perché mio padre ha prodotto musicalmente negli anni '70 molta
musica popolare e sono cresciuto con suoni e ritmi tradizionali, fatti
di voci e tarantelle che venivano da lontano ma che all’epoca
non capivo anche se le amavo molto.
Con “Craj” ho potuto approfondire quei
suoni che non mi hanno mai lasciato in questi anni, anche attraverso
le storie raccontate direttamente dai grandi maestri protagonisti del
film: i Cantori di Carpino, Uccio Aloisi e il compianto Matteo Salvatore. Ottanta, novantenni
che hanno affrontato e superato fame e povertà attraverso la
potenza della musica e la sua capacità di unire e dare forza
anche nei momenti più terribili della loro vita.
Una realtà che scompare lentamente e che ho sentito l’esigenza
di raccontare e di far conoscere attraverso questo lavoro che ha un
forte legame con la conservazione della Memoria storica del nostro paese.
Come dice nel film Matteo Salvatore: “chi
è sano non crede all’ammalato, chi è sazio non crede
all’affamato”.
Il
regista/autore che ammiro di più è Stanley Kubrick perché ha avuto la capacità di raccontare attraverso i
generi cinematografici più diversi il suo mondo in modo universale
e unico, riuscendo a non vivere come una contraddizione l’essenza
del cinema che è un’arte “industriale”, dimostrando
che nonostante il cinema necessiti di grandi investimenti economici
esso può essere espressivo e personale come lo è un quadro
di un pittore.
Kubrick ha usato il cinema per indagare sul mistero
dell’Uomo e sul suo comportamento. La tensione tra consapevolezza
e ignoranza dei limiti umani l’ha raccontata in tutti i suoi film
e lo ammiro per questo, più da spettatore che da regista, anche
perché da regista lo considero un modello unico e inimitabile.
Mi interessano comunque gli autori che hanno saputo esplorare argomenti
personali e universali al contempo anche attraverso la sperimentazione
del linguaggio cinematografico che rende uniche e riconoscibili ogni
inquadratura, come i quadri dei grandi geni dell’arte che hanno
il “tocco”, l’impronta” dell’artista.
Tra questi, oltre a Kubrick, amo, in ordine sparso, Bunuel, Hitchcock, Truffaut, Antonioni, Polansky, Bergman, Lynch,
Godard, Haneke, Allen, Kurosawa, Welles, Scorsese… ma
l’elenco potrebbe continuare molto ancora.
Il
primo film di cui ho memoria è “2001 odissea nello spazio”
di Kubrick che credo di aver visto a 9 anni. Negli
anni l’ho rivisto tantissime volte ma sempre con occhi nuovi e
grazie a quel film sono stato folgorato dalla potenzialità espressiva
del mezzo cinematografico.
Le
difficoltà di un esordio sono enormi. Tra l’altro sono
capitato in un periodo storico, pochi anni fa, in cui stavo per partire
con più di un progetto cinematografico ma la perpetua “crisi
del cinema italiano” ha subito proprio in quel periodo un’incredibile
peggioramento e la condizione di “esordiente” è diventata
terribile.
Improvvisamente essere esordienti è equivalso a dire “pericoloso”,
“rischioso”. Ma se non si rischia e se non si corrono
pericoli che senso ha fare Cinema, con la C molto maiuscola?
Ecco perché ho deciso di fare “Craj”,
grazie anche alla follia del produttore Gianluca Arcopinto e di tutti
coloro che ci hanno lavorato quasi a titolo gratuito, a partire da Teresa
De Sio che ha dato tutta se stessa in questo progetto. Con
“Craj” ho reagito alla mia urgenza di esordire
senza per questo dover dipendere da meccanismi burocratici che portano
via tempo ed energie. Sono riuscito a non soccombere ad un “sistema”
che molto spesso costringe gli autori che vogliono realizzare un film
a passare per una serie eccessiva di vincoli burocratici e persone di
dubbia estrazione culturale. Con il rischio di snaturare il progetto
iniziale oltre che di invecchiare con esso. E girare poi il film diventa
un rabbioso fatto di principio e l’autocensura l’unico risultato
raggiunto... Ma non sempre va così male…
Gianluca
Arcopinto ha deciso di realizzare “Craj”
appena gli è stato proposto, con i suoi mezzi e le sue sole risorse,
quindi con molto coraggio e per questo gli sono grato. Sperava che qualcuno
lungo il cammino ci avrebbe aiutato finanziariamente, anche con poco.
Ma chiunque, anche produzioni e distribuzioni notoriamente attente a
certi progetti hanno rifiutato di aiutarci con motivazioni non sempre
credibili. Peccato perché avevamo bisogno davvero di poco in
più per dare maggior corpo al film e abbiamo dovuto tagliare
molte delle scene previste e dei giorni di lavorazione. Ma il film ne
ha guadagnato in ruvidezza e verità e questo mi rende molto felice.
Quando lo rivedo continuo ad emozionarmi ma soprattutto mi rendo conto
di quanto emozioni le persone che lo vedono e questo per me è
quello che conta e che cancella tutte le difficoltà che abbiamo
avuto.
Dopo averlo prodotto Arcopinto si è visto costretto
a distribuire da solo il film in mancanza di interesse da parte di qualsiasi
altra distribuzione interpellata e questo ha danneggiato il film ma
soprattutto le numerose persone interessate a vederlo e a sapere di
più della vita e delle musiche dei protagonisti del film. E il
film è stato candidato dai Ciak d’oro tra i 10 “Belli
e invisibili” dell’anno…
Sono
rimasto impressionato dalle numerose recensioni positive da parte della
critica cinematografica che ha visto il film al festival di Venezia
2005 dove ha partecipato alle Giornate degli Autori e dove ha vinto il premio “Miccichè”
come miglior opera prima. Quasi ogni articolo è stato
davvero scritto con passione e spesso è stata sottolineata “l’imperfezione”
del film come una sua qualità.
Ogni volta che “Craj” viene proiettato
in pubblico noto quanto lo emozioni e lo diverta allo stesso tempo.
Molte persone si commuovono durante la proiezione e poi ridono e spesso
applaudono a scena aperta quando qualcuno dei protagonisti fa qualche
battuta inaspettata. Credo di aver raggiunto uno scopo con “Craj”
e cioè quello di comunicare quanta bellezza e verità ci
sia nell’essere umano, qui rappresentato dai fenomenali protagonisti
del film.
La
crisi è generale dell’occidente e del sistema capitalistico
ma questa crisi può essere un’occasione per ripensare dal
basso un sistema non legato solo al profitto e più democratico.
La situazione della cultura in generale e del cinema in particolare
riflettono questa crisi sia nei contenuti sia nel sistema di finanziamento
della cultura.
Credo sia contraddittorio se lo stato finanzia il cinema “commerciale”
perché quello, che ha pienamente diritto di esistere, può
essere finanziato dai privati che sanno di non correre molti rischi
con quel cinema.
Il cinema d’autore invece è e fa cultura e lo è
quanto più sia personale e unico. Lo stato deve difendere ed
incoraggiare questo tipo di cinema che è inevitabilmente a “fondo
perduto” come lo è la ricerca scientifica. Solo attraverso
gli sbagli si può crescere e scoprire qualcosa di nuovo.
Il primo film di un autore, se la natura della sua opera è in
buona fede, si può sbagliare e può non incassare. Le giovani
leve devono essere incoraggiate ad osare non ad omologarsi all’ultimo
successo di cassetta. Chi inizia deve poter rischiare, esplorare, sperimentare.
Come si fa per esempio in Francia dove l’essere “giovani”
è una risorsa preziosa e coltivata, non un pericolo per chi non
lo è più. La diversità è una ricchezza e
fa crescere la cultura di un paese.
Il talento giovane, spensierato, fresco di chi è ancora “vergine”
va salvaguardato non addomesticato e umiliato. Così come il talento
di autori più maturi che hanno già dimostrato il loro
valore deve essere sostenuto non ignorato.
Poi c’è chi abusa dei finanziamenti pubblici per arricchirsi
ma per evitare che questo accada serve solo un controllo più
rigoroso, senza che questo comporti il rinunciare a sperimentare, ad
inventare qualcosa di nuovo, a far crescere l’identità
culturale di un paese, perché altrimenti qualcosa di grave rischia
di accadere: la perdita della coscienza.
Attualmente
sto al montaggio di “Notturno bus” tratto
dall’omonimo romanzo di Gianpiero Rigosi, non
un film d’autore ma di genere, anzi, di generi, perché
mischia noir e commedia, dramma e romanticismo con un insolito equilibrio
tra i generi che nella sceneggiatura, non scritta da me, era molto presente
e che risultava essere la sfida principale di questo film riuscire ad
ottenere.
E’ un film “commerciabile” ma non commerciale
e questo è uno degli aspetti che, quando mi è stato proposto
di dirigerlo dal produttore Sandro Silvestri, mi ha
intrigato. Insieme ovviamente alla possibilità di lavorare con
grandi professionisti come Arnaldo Catinari che ha
curato la fotografia, e ad Ennio Fantastichini, Valerio Mastandrea e Giovanna Mezzogiorno che sono i protagonisti
principali del film.
E’ stato molto interessante per me realizzare due film in questi
ultimi due anni completamente opposti tra loro per natura, produzione,
pubblico cui è mirato e intenzioni. La mia aspirazione cinematografica
è quella di poter cambiare radicalmente da un progetto all’altro
e solo attraverso questa personale forma di “sperimentazione”
credo di poter trovare, in futuro, un mio stile e poter fare poi scelte
più rigorose e che ritengo importanti per me e per quello che
spero sarà, un giorno, il “mio” cinema.
(Teresa
De Sio, Davide Marengo e Giovanni Lindo Ferretti alla Villa degli Autori
del Lido)
Domani
(non) è un altro giorno
di Marco Spagnoli
(03-09-05)
Craj nasce ispirandosi all’omonima opera teatral-musicale ideata
e diretta da Teresa De Sio e scritta in collaborazione
con Giovanni Lindo Ferretti, della quale ricalca la
struttura principale. Il film racconta del viaggio del Principe Froridippo
(Giovanni Lindo Ferretti) e del suo servo Bimbascione
(Teresa De Sio) attraverso la Puglia. Tutto comincia
con uno strano sogno fatto dal Principe, nel quale incontra un grande
ragno che lo attira inspiegabilmente verso sud.
Il viaggio dal Gargano al Salento è lungo e i due protagonisti,
accompagnati dal cavallo Toledo, si fermano tre volte per riposarsi:
a Carpino dove pranzano con I Cantori, a Foggia dove
conoscono Matteo Salvatore e a Cutrufiano dove ballano
con Uccio Aloisi. Ogni tappa diventa per una scoperta: i Cantori di Carpino, Matteo Salvatore e Uccio
Aloisi, ovvero i principali maestri della musica tradizionale
pugliese, testimoni di antiche tradizioni popolari e musicali. Tradizioni
che conosciamo meglio attraverso interviste e immagini di vita quotidiana,
alternate al “live” dei loro concerti.
A curare la regia di questa contaminazione tra cinema, teatro, documentario
e fiaba popolare, Davide Marengo,
esordiente alla regia di un lungometraggio dopo una serie di fortunati
corti.
Cosa la interessava di più catturare
dello spettacolo originale?
La sua grande forza emotiva. Volevo ricreare l'atmosfera che avevo provato
come spettatore vedendo lo spettacolo che mi aveva completamente ipnotizzato.
Come definirebbe Craj?
Un film che appartiene ad un genere ibrido tra documentario, fiction
e film musicale. E' un po' tutte e tre le cose e al tempo stesso nessuna
di tutte e tre. Mi piacerebbe pensare che Craj segni
la nascita di un nuovo genere, una sorta di "film popolare".
I suoi cortometraggi erano fortemente
caratterizzati dall'elemento di fiction: qual è la sua fascinazione
nel flirtare con un genere molto vicino al documentario?
E' stata la musica a colpirmi innanzitutto. Mio padre era un produttore
di artisti come la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Eugenio
Bennato e Toni Esposito. Da piccolo ho vissuto
in prima persona la fascinazione per un recupero colto della musica
popolare meridionale e - in particolare - napoletana. Sono cresciuto
con i ritmi del Sud e - per questo motivo - lo spettacolo ha suscitato
in me una reazione emotiva di natura personale che mi ha convinto a
mettermi completamente a disposizione del suo sviluppo dal punto di
vista cinematografico.
Quindi è una tematica cui era già
interessato...
Più volte, come amante della pizzica, avevo avuto idea di esplorare
questo mondo così peculiare con un documentario. Non avevo ancora
avuto l'idea giusta per avvicinarmi a questo tipo di ritmi. La chiave
di tutto è stata andare a vedere lo spettacolo di Teresa e Giovanni.
Craj mi ha dato il 'la' per gettarmi a capofitto in questa avventura.
Edoardo Winspeare aveva già lavorato
in questa direzione.
E' vero: Sangue vivo è un film straordinario, così come
lo è Pizzicata. Pino Zimba, il suo protagonista,
suona nel gruppo di Teresa De Sio. Io, però,
ho voluto fare qualcosa di differente dal cinema di Edoardo puntando
ad una certa curiosità e non ad un'analisi.
Perché questo titolo?
Craj significa "domani". E' il senso del proseguimento della
memoria che Teresa De Sio ha voluto citare a partire
proprio dal titolo. Per me era importantissimo potere mostrare i protagonisti
di questa storia che con la loro grande semplicità e umanità
rappresentano una gioia di vivere che ha in sé qualcosa di davvero
unico.
I materiali per il Dvd saranno tantissimi...
Sì è vero. Abbiamo girato molti materiali in più,
cui abbiamo dovuto rinunciare per la sala e che speriamo di potere recuperare
per il dvd. Ci sono alcune testimonianze molto preziose e molto belle...
Pizzica
di Salento
Tre domande a Davide Marengo regista di "Craj-Domani"
un docu-musical che ripercorre i concerti di De Sio e Ferretti
di Stefano Lusardi
(10/09/05)
Come mai ha deciso di debuttare nel lungometraggio
con "Craj-Domani"?
E' stata una scelta naturale: amo a tal punto il Salento da andarci
in ferie d'estate e sono cresciuto fra i ritmi e la cultura della musica
popolare, mio padre è stato infatti produttore discografico della
Nuova Compagnia di Canto Popolare, che ha visto fra i suoi componenti
anche Teresa De Sio.
Fino a che punto il film è la trasposizione
dello spettacolo di Teresa De Sio e Giovanni Liudo Ferretti?
Ho evitato l'idea del teatro filmato, girando in esterni, fra il Gargano
e il Salento, il viaggio favolistico dei due protagonisti. Questa parte
più narrativa e cinematografica è alternata con riprese
del concerto-spettacolo e con interviste ai personaggi più interessanti
della musica popolare pugliese. Una sorta di contaminazione
di generi e di tecniche, visto che la parte fiction è girata
in pellicola, mentre il conceto e le interviste girante in digitale
e super 8.
Craj può essere anche definito
il Buena Vista Social Club italiano?
Musica differente, ma età e spirito dei musicisti del tutto simile.
Dai Cantori di Carpino al maestro della pizzica Uccio
Aloisi fino a Matteo Salvatore, purtroppo
scomparso due settimane fa, sono tutti musicisti fra i settantotto e
gli ottantanove anni, che raccontano come per loro la musica abbia rappresentato
una cura poetica contro la fame e la povertà.
Craj,
un esordio vincente
di
Sara Zucchi (07/10/05)
Nonostante
le difficoltà che oggi affronta il cortometraggio nel mostrarsi
al pubblico Davide Marengo,
regista di corti, appunto, ma anche di pubblicità, videoclip
e backstage, non ha trovato moltissimi ostacoli nel mostrare quella
sua capacità di trasmettere emozioni. Ma alla Mostra di Venezia
non è stato grazie a un corto che è riuscito a trovare
consensi, applausi e anche un premio.
Il suo "Craj", infatti, film proiettato
come evento speciale nelle Giornate degli Autori, ha vinto
il Premio Lino Miccichè per la miglior opera
prima. Un film fortunato, quindi, quello che racconta il viaggio del
Principe Floridippo (interpretato da Giovanni Lindo Ferretti)
e del suo servo Bimbascione (portato sullo schermo da una bravissima Teresa De Sio) attraverso la Puglia, nella terra della
Taranta e dei suoi cantori, alla riscoperta di tradizioni musicali e
popolari.
Noi di Cinecorriere lo abbiamo raggiunto telefonicamente mentre
era ancora a Venezia per rivolgergli alcune domande.
Come
mai la scelta del titolo Craj?
In realtà non abbiamo fatto altro che riprendere il titolo originale
dell'opera teatrale-musicale ideata e diretta da Teresa De Sio,
scritta in collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti.
In dialetto significa "domani" e questo domani è rappresentato
dalla memoria che vorremmo rimanesse indelebile.
Parlaci
della scelta di trasformare un'opera teatrale in lungometraggio.
Tempo fa ho fatto un viaggio in Puglia e sono rimasto colpito dalle
tradizioni di questa terra, e quando sono venuto a conoscenza della
tournè di Teresa l'ho subito contattata. Dopo averlo visto, bhe,
lei ha accettato subito di collaborare alla realizzazione di questo
mio desiderio, e insieme a Paola Papa abbiamo realizzato Craj. E' un misto di favola, documentario e concerto.
Hai
trovato difficolta nel trovare chi finanziasse il tuo progetto? E che
effetto ti ha fatto arrivare a Venezia con il tuo primo lungometraggio,
tra l'altro così fuori dagli schemi?
Sinceramente difficoltà non ne ho trovate... Craj è stato realizzato abbastanza velocemente grazie al produttore Gianluca Arcopinto. Per quanto riguarda Venezia è
stata una bella sensazione. Una grande emozione, perchè non ero
solo alla Mostra ma anche in una rassegna importante come quella delle Giornate degli Autori. E poi il premio...
Premio
che hai voluto dedicare alla memoria di uno dei protagonisti...
Si il 27 agosto è venuto a mancare Matteo Salvatore,
un maestro. Era una radice nella storia di cantori pugliesi, peccato
non abbia potuto vedere terminato il lavoro.
|
For
those who keep a close eye on the short film "set", the name
of Davide Marengo is linked above all with
Dead Train, a film from a few years ago, among the few that managed to
obtain the privilege of cinema distribution (...)
from shortvillage
by Laura Pugno
When
and how did you start your voyage into the world of short film?
In 1995. By then I had accumulated a fair bit of experience as a director's
assistant, and in those circles the short was always spoken about as a
kind of visiting card. That was how the collaboration with an old school
friend of mine, Tommaso Ragnisco, who does special effects, came about.
We decided to film a short that would bring together his and my talents,
and to co-produce it between us. I worked on an idea starting from the
premise that I should leave ample space within the structure of the story
for the use of special effects. The short is called Shit! and the title
is pretty self explanatory: the real protagonist is Isa Gallinelli, who
after a series of misadventures in a public lavatory explodes with shit…and
that's where the special effects came into play, not technological naturally,
but manual.
Shit!
brought you a lot of luck…
It certainly did. Tommaso and I were actually chosen for the first Nanni
Moretti's Sacher Festival, even if Shit! is a short film which is in no
way like the work of Moretti, and we began to go round the short film
festivals and win prizes too.
Two
years later you have worked with Antonio Albanese.
That short was called Dead Train, and it was written by Filippo and Dino
Gentili. At the time I was working backstage on Uomo d’acqua dolce,
and I asked Albanese to read the screenplay. An hour later he called me
and said: "Not only will I appear in this short, I'll produce it
as well". And that was how it went. Albanese produced the short along
with his agent, Luisa Pistoia of Luisa Pistoia Management. Also, Antonio
was about to do a film with Cecchi Gori, and so it was natural to ask
if there was any chance of combining Dead Train with a Cecchi Gori film
for distribution purposes. They asked if Deconstructing Harry was ok as
it was the right length… and so the short came out all over Italy
together with a Woody Allen film!
After
what did you do?
I shot another short. It was called La stretta di mano (The Handshake)
and I'll finish it in the next few days. Orisa Film courageously produced
the short, using state financing but taking on a series of advance payments
and some serious economic commitments: we were the first to take advantage
of the funding made available for short films. Isa Gallinelli appears
again, in these three films of mine, and Alessandro Benvenuti as well,
who performed his role beautifully.
What
is La stretta di mano (The Handshake) about?
It tells the fantastic story of a little boy who loves Napoleon, and who
receives a handshake on behalf of the Emperor from Alessandro Benvenuti.
Benvenuti's hand actually perpetuates a series of handshakes that came
from the last time that Napoleon gave his hand to someone. Our little
protagonist decides not to shake hands with anyone again, even when he
finds himself at a party, where the temptation is strong. Napoleon's handshake
however gets "stolen" when someone seizes his hand by surprise,
and the short continues with his attempts to get it back in the midst
of the party.
You
shoot in film. How much did these three films cost?
The first, that was self-financed, less than five thousand euro, the second,
about fifty thousand euro and the same for the third.
Do
you prefer to film and that's all, or to also be involved in the scriptwriting
phase?
The second option. I wrote the screenplay for Shit! completely alone,
and that of Dead Train was a collaboration, while for La stretta di mano
I worked for the subject and for the script.
When
it came to shooting your own short films, you already had a lot of experience
as a director. What has the short given you?
In fact I had already learnt my trade shooting music videos and advertisements
for a living. The short, however, taught me to tell little stories, in
anticipation of the day when I'd be able to recount a long one. It seems
like a paradox, but I think it is even harder to make a short than a feature
length film. I know some people who have put their houses at risk in order
to make their first short film, without mentioning that not all aspiring
directors have a house to use for financing. All the work of a creative
director, preparing the actors, being on the set, getting into the editing,
is a marvellous experience, even if it hasn’t lasted long, until
now, for me: at the end of the day, I have spent three weeks directing
in eight years (...)
|