Regista di videoclip musicali, Davide Marengo esordisce nel lungometraggio di finzione con Notturno Bus con Valerio Mastandrea e Giovanna Mezzogiorno.

di Nicoletta Gemmi per "Primissima" (Agosto 2007)

Come è arrivato il progetto di Notturno Bus e conosceva il romanzo di Giampiero Rigosi?

E' stata una strana coincidenza perché proprio nel periodo in cui il produttore Sandro Silvestri stava cercando un regista per questo film, mi ha contattato - circa tre anni e mezzo fa - e io avevo già letto, un anno prima, Notturno Bus di Rigosi. Tra l'altro è un libro che avevo molto molto apprezzato e poi, rileggendolo prima di cominciare a girare il film, vedevo proprio le scene, mi immaginavo come lo avrei girato. E' un libro molto cinematografico.

Notturno Bus mette insieme vari generi cinematografici: il noir, la commedia, il poliziesco, azione, commedia romantica, con rimandi anche ai film italiani di serie B. Quanto la stuzzicava questo aspetto della storia e quanto la preoccupava anche perché non deve essere semplice da realizzare?

Nella sua domanda c'è anche la risposta, nel senso che l'aspetto che più miintrigava e che allo stesso tempo più mi spaventava - e che metteva in difficoltà sia me per realizzarlo che il produttore per riuscire a finanziarlo - era proprio la commistione dei generi. Questo mix di generi è quello che mi ha permesso di giocare con gli stereotipi del cinema. Io sono un super-appassionato di cinema, mi vedo veramente di tutto, di tutti i generi, mi vedo tantissimi film e quindi avere la possibilità di attingere da ciò che amo era la stessa sensazione che prova un bambino davanti alla nutella.

E allora a questo proposito a chi si è ispirato maggiormente? Dato che il film presenta tratti molto hitchcockiani con il 'giovane e innocente', la 'femme fatale' e il pretesto. In questo caso il microchip che tutti vogliono...

Sì è vero volevo assolutamente che ci fosse il classico MacGuffin hitchcockiano che è proprio il microchip che tutti vogliono e che, non a caso, nemmeno si sa che cosa contenga e alla fine si rivela assolutamente inutile, come tutta la fatica che i personaggi fanno per averlo che si rivela anch'essa totalmente vana. Tornando ai registi, io ho dei modelli, ma chiaramente sono soltanto dei modelli da spettatore. Sono ancora un regista troppo giovane per aspirare a, non dico paragoni, ma nemmeno citazioni di grandi maestri. Comunque adoro Kubrick, Polanski, Hitchcock... e ho pensato molto, mentre giravo Notturno Bus, ai fratelli Coen perché fanno spesso film che mischiano nera e commedia insieme quindi... ma ripeto con tanta umiltà.

Come avete messo insieme questo cast, così azzeccato, con personaggi così caratterizzati? Penso al Diolaiti di Citran, il Matera di Fantastichini e anche i due protagonisti...

Per quanto riguarda Citran, ad esempio, abbiamo proprio pensato a dargli un personaggio che è l'esatto contrario di quello che ti viene in mente guardando lui. Anche perché fino ad ora ha interpretato ruoli, magari di marito dimesso, o di uomo un po' bastonato dalla vita. Mentre qui è un sadico degno di Hostel. Anche lui, personalmente, ha accettato molto volentieri, proprio per il desiderio che gli attori hanno di variare, e che riescono ad esaudire molto, molto raramente. Quindi abbiamo cercato attori che risultassero sorprendenti nei panni di quei personaggi.

A quale di questi personaggi si sente più vicino o quale ha amato maggiormente e perché?

Sono affezzionato a tutti perché sono molto diversi e hanno tutti un lato umano che mi affascina. Se ne devo scegliere uno dico però Matera, quello interpretato da Ennio Fantastichini, il personaggio più malinconico e tragico. La cui morte sia nel romanzo che nel film sorprende, sia il lettore che lo spettatore, non te lo aspetti. Ma lui è il classico personaggio che cerca di cambiare il suo destino in tre secondi senza aspettare il tempo che necessita un cambio di una intera vita e, così, la sua fine non può essere che tragica. Viene punito per questa sua sottovalutazione.

E' anche quello che ha rinunciato all'amore e si aspetta di poterlo riconquistare...

Eh sì, ha rinunciato all'amore e diciamo che, quello che non è riuscito a lui, fa di tutto perché riesca a Franz e Leila. Ma rinunciando all'amore, rinuncia anche alla vita.

La regia è davvero notevole (merito anche del bravissimo direttore della fotografia Arnaldo Catinari). Montaggi serrati, non scontati, tagli musicali, ritmici. Cosa è stato più difficile da realizzare? Tipo: l'inseguimento fra i due autobus... Notturno Bus è pur sempre il suo primo lungometraggio di finzione.

Io penso che, alla fine, girare bene sia molto facile. Quello che trovo invece davvero difficile è comunicare la credibilità delle emozioni, in modo che lo spettatore possa seguire la storia e la psicologia dei personaggi. Questa è la cosa alla quale tengo di più, al di là che ci sia riuscito o meno. E così per me è stato più complesso girare la scena di Leila e Franz (Mezzogiorno e Mastandrea) nella tappezzeria, nascosti, mentre si fanno dichiarazioni e poi si baciano, che l'inseguimento dei due autobus. Detto ciò, girare un inseguimento così comporta veramente tante difficoltà e sono molto contento di come è venuta la scena, è stato anche divertente.

Avere un low-budget (anche se non bassissimo) per un film di azione è un problema aggirabile?

Posso dirvi che sullo schermo risulta sicuramente più ricco di quello che in realtà è stato. E comunque sì è un grosso problema non avere tanti soldi e soprattutto poco tempo. Quando io e Arnaldo Catinari abbiamo saputo il budget e che dovevamo girare il film in otto settimane... ci siamo scambiati un'occhiata davvero perplessa. Poi con coraggio e caparbietà ci siamo lanciati in questa avventura e devo dire che abbiamo avuto davvero tanta soddisfazione.

Giusta soddisfazione perché il film ha esordito bene (è uscito nelle sale l'11 maggio) e ha ricevuto ottime critiche dalla stampa. Ha avuto sicuramente un buon lancio e 195 copie per un film italiano è un numero dignitoso...

Sì è andato bene, al primo week end è arrivato terzo in classifica, tenendo conto che al primo posto c'è Spider-Man 3 che è un colosso. Il risultato che abbiamo ottenuto possiamo definirlo buono.

E la collaborazione con Daniele Silvestri? Quando ha pensato di inserire Mi persi e La Paranza nel film?

Mi persi entra dentro la colonna sonora del film mentre La Paranza è sui titoli di coda. Io e Daniele ci conosciamo da tanti anni, siamo amici, oltre ad avere già lavorato insieme varie volte in passato tra videoclip e backstage girati da me sui suoi lavori. Mentre giravo il film sapevo che lui aveva scritto un album nuovo che avrebbe segnato il suo ritorno sul mercato discografico e così gli ho chiesto di farmi sentire dei pezzi. Li ho sentiti e ho scelto quei due.

Tutto prima di Sanremo 2007 quindi?

Molto prima. Molto prima di sapere che poi lui avrebbe presentato La Paranza alla selezione per il festival e che sarebbe stato scelto.

E' già sul set. Cosa sta facendo?

Esordisco nella regia di una fiction televisiva. Una nuova esperienza che mi sta divertendo anche perché lavoro con una troupe e un cast di miei coetanei nonostante il pubblico cui è mirato sia quello ampio della prima serata di Raiuno. E' un progetto che Rai Fiction e i produttori, Roberta Manfredi e Alberto Simone hanno voluto affidarmi rompendo un po' le consuetudini, e ho accettato molto volentieri. Anche perché c'è la possibilità di girare in pellicola, con attori bravi e sceneggiature ben scritte. Non c'è molta azione come in Notturno bus ma molti delitti da raccontare e le atmosfere della provincia toscana, dove i film sono ambientati, sono stimolanti da girare.

Intervista di Davide Marengo per il libro "Saranno Famosi? Atto Terzo" edito da Lindau.

di Carlo Tagliabue (01/2007)

Non ho mai pensato ad un altro mestiere diverso da quello che faccio da quando ho più o meno 14 anni. Ho iniziato come fotografo e ho sfruttato questa passione per l’immagine per accedere sui set cinematografici o di corti e videoclip di ragazzi poco più grandi di me. Realizzavo backstage prima fotografici poi video.

Non ricordo di avere avuto un motivo ideale per iniziare se non un forte desiderio istintivo che mi ha sempre spinto a raccontare storie per immagini attraverso linguaggi sempre diversi.

Non sempre l’ho fatto ma quello che mi interessa esplorare attraverso le immagini in movimento è il comportamento umano, sia esso ripreso “dal vero” attraverso il documentario, sia attraverso la “finzione” di una sceneggiatura o di una storia che sia emblematica. Mi interessa poterlo fare attraverso i vari generi, siano essi comici, surreali, noir, favolistici o drammatici.

Dopo numerosi cortometraggi, videoclip e backstage di film, che mi hanno aiutato a conoscere e dominare il mezzo, ho realizzato finalmente il mio esordio cinematografico, anche se un po’ anomalo: “Craj”.

Craj” è un film documentario per il cinema sulla musica popolare pugliese realizzato in modo sperimentale, spartano, quasi senza mezzi e con un mix di linguaggi, generi e tecniche che vanno di pari passo con la realtà così ricca di diversità come quella della tradizione musicale pugliese che racconto nel film. Diversità arricchita dalla presenza importante di Teresa De Sio e Giovanni Lindo Ferretti, anche ideatori dello spettacolo dal vivo che è il punto di partenza del film.
E’ stata un’esperienza di vita estremamente emozionante che senza saperlo troppo racconta una parte di me e della mia infanzia, perché mio padre ha prodotto musicalmente negli anni '70 molta musica popolare e sono cresciuto con suoni e ritmi tradizionali, fatti di voci e tarantelle che venivano da lontano ma che all’epoca non capivo anche se le amavo molto.

Con “Craj” ho potuto approfondire quei suoni che non mi hanno mai lasciato in questi anni, anche attraverso le storie raccontate direttamente dai grandi maestri protagonisti del film: i Cantori di Carpino, Uccio Aloisi e il compianto Matteo Salvatore. Ottanta, novantenni che hanno affrontato e superato fame e povertà attraverso la potenza della musica e la sua capacità di unire e dare forza anche nei momenti più terribili della loro vita.

Una realtà che scompare lentamente e che ho sentito l’esigenza di raccontare e di far conoscere attraverso questo lavoro che ha un forte legame con la conservazione della Memoria storica del nostro paese.
Come dice nel film Matteo Salvatore: “chi è sano non crede all’ammalato, chi è sazio non crede all’affamato”.

Il regista/autore che ammiro di più è Stanley Kubrick perché ha avuto la capacità di raccontare attraverso i generi cinematografici più diversi il suo mondo in modo universale e unico, riuscendo a non vivere come una contraddizione l’essenza del cinema che è un’arte “industriale”, dimostrando che nonostante il cinema necessiti di grandi investimenti economici esso può essere espressivo e personale come lo è un quadro di un pittore.
Kubrick ha usato il cinema per indagare sul mistero dell’Uomo e sul suo comportamento. La tensione tra consapevolezza e ignoranza dei limiti umani l’ha raccontata in tutti i suoi film e lo ammiro per questo, più da spettatore che da regista, anche perché da regista lo considero un modello unico e inimitabile.
Mi interessano comunque gli autori che hanno saputo esplorare argomenti personali e universali al contempo anche attraverso la sperimentazione del linguaggio cinematografico che rende uniche e riconoscibili ogni inquadratura, come i quadri dei grandi geni dell’arte che hanno il “tocco”, l’impronta” dell’artista.

Tra questi, oltre a Kubrick, amo, in ordine sparso, Bunuel, Hitchcock, Truffaut, Antonioni, Polansky, Bergman, Lynch, Godard, Haneke, Allen, Kurosawa, Welles, Scorsese… ma l’elenco potrebbe continuare molto ancora.

Il primo film di cui ho memoria è “2001 odissea nello spazio” di Kubrick che credo di aver visto a 9 anni. Negli anni l’ho rivisto tantissime volte ma sempre con occhi nuovi e grazie a quel film sono stato folgorato dalla potenzialità espressiva del mezzo cinematografico.

Le difficoltà di un esordio sono enormi. Tra l’altro sono capitato in un periodo storico, pochi anni fa, in cui stavo per partire con più di un progetto cinematografico ma la perpetua “crisi del cinema italiano” ha subito proprio in quel periodo un’incredibile peggioramento e la condizione di “esordiente” è diventata terribile.


Improvvisamente essere esordienti è equivalso a dire “pericoloso”, “rischioso”. Ma se non si rischia e se non si corrono pericoli che senso ha fare Cinema, con la C molto maiuscola?

Ecco perché ho deciso di fare “Craj”, grazie anche alla follia del produttore Gianluca Arcopinto e di tutti coloro che ci hanno lavorato quasi a titolo gratuito, a partire da Teresa De Sio che ha dato tutta se stessa in questo progetto. Con “Craj” ho reagito alla mia urgenza di esordire senza per questo dover dipendere da meccanismi burocratici che portano via tempo ed energie. Sono riuscito a non soccombere ad un “sistema” che molto spesso costringe gli autori che vogliono realizzare un film a passare per una serie eccessiva di vincoli burocratici e persone di dubbia estrazione culturale. Con il rischio di snaturare il progetto iniziale oltre che di invecchiare con esso. E girare poi il film diventa un rabbioso fatto di principio e l’autocensura l’unico risultato raggiunto... Ma non sempre va così male…

Gianluca Arcopinto ha deciso di realizzare “Craj” appena gli è stato proposto, con i suoi mezzi e le sue sole risorse, quindi con molto coraggio e per questo gli sono grato. Sperava che qualcuno lungo il cammino ci avrebbe aiutato finanziariamente, anche con poco. Ma chiunque, anche produzioni e distribuzioni notoriamente attente a certi progetti hanno rifiutato di aiutarci con motivazioni non sempre credibili. Peccato perché avevamo bisogno davvero di poco in più per dare maggior corpo al film e abbiamo dovuto tagliare molte delle scene previste e dei giorni di lavorazione. Ma il film ne ha guadagnato in ruvidezza e verità e questo mi rende molto felice. Quando lo rivedo continuo ad emozionarmi ma soprattutto mi rendo conto di quanto emozioni le persone che lo vedono e questo per me è quello che conta e che cancella tutte le difficoltà che abbiamo avuto.

Dopo averlo prodotto Arcopinto si è visto costretto a distribuire da solo il film in mancanza di interesse da parte di qualsiasi altra distribuzione interpellata e questo ha danneggiato il film ma soprattutto le numerose persone interessate a vederlo e a sapere di più della vita e delle musiche dei protagonisti del film. E il film è stato candidato dai Ciak d’oro tra i 10 “Belli e invisibili” dell’anno…

Sono rimasto impressionato dalle numerose recensioni positive da parte della critica cinematografica che ha visto il film al festival di Venezia 2005 dove ha partecipato alle Giornate degli Autori e dove ha vinto il premio “Miccichè” come miglior opera prima. Quasi ogni articolo è stato davvero scritto con passione e spesso è stata sottolineata “l’imperfezione” del film come una sua qualità.
Ogni volta che “Craj” viene proiettato in pubblico noto quanto lo emozioni e lo diverta allo stesso tempo. Molte persone si commuovono durante la proiezione e poi ridono e spesso applaudono a scena aperta quando qualcuno dei protagonisti fa qualche battuta inaspettata. Credo di aver raggiunto uno scopo con “Craj” e cioè quello di comunicare quanta bellezza e verità ci sia nell’essere umano, qui rappresentato dai fenomenali protagonisti del film.

La crisi è generale dell’occidente e del sistema capitalistico ma questa crisi può essere un’occasione per ripensare dal basso un sistema non legato solo al profitto e più democratico. La situazione della cultura in generale e del cinema in particolare riflettono questa crisi sia nei contenuti sia nel sistema di finanziamento della cultura.


Credo sia contraddittorio se lo stato finanzia il cinema “commerciale” perché quello, che ha pienamente diritto di esistere, può essere finanziato dai privati che sanno di non correre molti rischi con quel cinema.


Il cinema d’autore invece è e fa cultura e lo è quanto più sia personale e unico. Lo stato deve difendere ed incoraggiare questo tipo di cinema che è inevitabilmente a “fondo perduto” come lo è la ricerca scientifica. Solo attraverso gli sbagli si può crescere e scoprire qualcosa di nuovo.

Il primo film di un autore, se la natura della sua opera è in buona fede, si può sbagliare e può non incassare. Le giovani leve devono essere incoraggiate ad osare non ad omologarsi all’ultimo successo di cassetta. Chi inizia deve poter rischiare, esplorare, sperimentare. Come si fa per esempio in Francia dove l’essere “giovani” è una risorsa preziosa e coltivata, non un pericolo per chi non lo è più. La diversità è una ricchezza e fa crescere la cultura di un paese.

Il talento giovane, spensierato, fresco di chi è ancora “vergine” va salvaguardato non addomesticato e umiliato. Così come il talento di autori più maturi che hanno già dimostrato il loro valore deve essere sostenuto non ignorato.
Poi c’è chi abusa dei finanziamenti pubblici per arricchirsi ma per evitare che questo accada serve solo un controllo più rigoroso, senza che questo comporti il rinunciare a sperimentare, ad inventare qualcosa di nuovo, a far crescere l’identità culturale di un paese, perché altrimenti qualcosa di grave rischia di accadere: la perdita della coscienza.

Attualmente sto al montaggio di “Notturno bus” tratto dall’omonimo romanzo di Gianpiero Rigosi, non un film d’autore ma di genere, anzi, di generi, perché mischia noir e commedia, dramma e romanticismo con un insolito equilibrio tra i generi che nella sceneggiatura, non scritta da me, era molto presente e che risultava essere la sfida principale di questo film riuscire ad ottenere.
E’ un film “commerciabile” ma non commerciale e questo è uno degli aspetti che, quando mi è stato proposto di dirigerlo dal produttore Sandro Silvestri, mi ha intrigato. Insieme ovviamente alla possibilità di lavorare con grandi professionisti come Arnaldo Catinari che ha curato la fotografia, e ad Ennio Fantastichini, Valerio Mastandrea e Giovanna Mezzogiorno che sono i protagonisti principali del film.

E’ stato molto interessante per me realizzare due film in questi ultimi due anni completamente opposti tra loro per natura, produzione, pubblico cui è mirato e intenzioni. La mia aspirazione cinematografica è quella di poter cambiare radicalmente da un progetto all’altro e solo attraverso questa personale forma di “sperimentazione” credo di poter trovare, in futuro, un mio stile e poter fare poi scelte più rigorose e che ritengo importanti per me e per quello che spero sarà, un giorno, il “mio” cinema.


(Teresa De Sio, Davide Marengo e Giovanni Lindo Ferretti alla Villa degli Autori del Lido)

Domani (non) è un altro giorno


di Marco Spagnoli
(03-09-05)


Craj nasce ispirandosi all’omonima opera teatral-musicale ideata e diretta da Teresa De Sio e scritta in collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti, della quale ricalca la struttura principale. Il film racconta del viaggio del Principe Froridippo (Giovanni Lindo Ferretti) e del suo servo Bimbascione (Teresa De Sio) attraverso la Puglia. Tutto comincia con uno strano sogno fatto dal Principe, nel quale incontra un grande ragno che lo attira inspiegabilmente verso sud.
Il viaggio dal Gargano al Salento è lungo e i due protagonisti, accompagnati dal cavallo Toledo, si fermano tre volte per riposarsi: a Carpino dove pranzano con I Cantori, a Foggia dove conoscono Matteo Salvatore e a Cutrufiano dove ballano con Uccio Aloisi. Ogni tappa diventa per una scoperta: i Cantori di Carpino, Matteo Salvatore e Uccio Aloisi, ovvero i principali maestri della musica tradizionale pugliese, testimoni di antiche tradizioni popolari e musicali. Tradizioni che conosciamo meglio attraverso interviste e immagini di vita quotidiana, alternate al “live” dei loro concerti.
A curare la regia di questa contaminazione tra cinema, teatro, documentario e fiaba popolare, Davide Marengo, esordiente alla regia di un lungometraggio dopo una serie di fortunati corti.

Cosa la interessava di più catturare dello spettacolo originale?
La sua grande forza emotiva. Volevo ricreare l'atmosfera che avevo provato come spettatore vedendo lo spettacolo che mi aveva completamente ipnotizzato.

Come definirebbe Craj?
Un film che appartiene ad un genere ibrido tra documentario, fiction e film musicale. E' un po' tutte e tre le cose e al tempo stesso nessuna di tutte e tre. Mi piacerebbe pensare che Craj segni la nascita di un nuovo genere, una sorta di "film popolare".

I suoi cortometraggi erano fortemente caratterizzati dall'elemento di fiction: qual è la sua fascinazione nel flirtare con un genere molto vicino al documentario?
E' stata la musica a colpirmi innanzitutto. Mio padre era un produttore di artisti come la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Eugenio Bennato e Toni Esposito. Da piccolo ho vissuto in prima persona la fascinazione per un recupero colto della musica popolare meridionale e - in particolare - napoletana. Sono cresciuto con i ritmi del Sud e - per questo motivo - lo spettacolo ha suscitato in me una reazione emotiva di natura personale che mi ha convinto a mettermi completamente a disposizione del suo sviluppo dal punto di vista cinematografico.

Quindi è una tematica cui era già interessato...
Più volte, come amante della pizzica, avevo avuto idea di esplorare questo mondo così peculiare con un documentario. Non avevo ancora avuto l'idea giusta per avvicinarmi a questo tipo di ritmi. La chiave di tutto è stata andare a vedere lo spettacolo di Teresa e Giovanni. Craj mi ha dato il 'la' per gettarmi a capofitto in questa avventura.

Edoardo Winspeare aveva già lavorato in questa direzione.
E' vero: Sangue vivo è un film straordinario, così come lo è Pizzicata. Pino Zimba, il suo protagonista, suona nel gruppo di Teresa De Sio. Io, però, ho voluto fare qualcosa di differente dal cinema di Edoardo puntando ad una certa curiosità e non ad un'analisi.

Perché questo titolo?
Craj significa "domani". E' il senso del proseguimento della memoria che Teresa De Sio ha voluto citare a partire proprio dal titolo. Per me era importantissimo potere mostrare i protagonisti di questa storia che con la loro grande semplicità e umanità rappresentano una gioia di vivere che ha in sé qualcosa di davvero unico.

I materiali per il Dvd saranno tantissimi...
Sì è vero. Abbiamo girato molti materiali in più, cui abbiamo dovuto rinunciare per la sala e che speriamo di potere recuperare per il dvd. Ci sono alcune testimonianze molto preziose e molto belle...

Pizzica di Salento
Tre domande a Davide Marengo regista di "Craj-Domani"
un docu-musical che ripercorre i concerti di De Sio e Ferretti

di Stefano Lusardi
(10/09/05)

Come mai ha deciso di debuttare nel lungometraggio con "Craj-Domani"?
E' stata una scelta naturale: amo a tal punto il Salento da andarci in ferie d'estate e sono cresciuto fra i ritmi e la cultura della musica popolare, mio padre è stato infatti produttore discografico della Nuova Compagnia di Canto Popolare, che ha visto fra i suoi componenti anche Teresa De Sio.

Fino a che punto il film è la trasposizione dello spettacolo di Teresa De Sio e Giovanni Liudo Ferretti?
Ho evitato l'idea del teatro filmato, girando in esterni, fra il Gargano e il Salento, il viaggio favolistico dei due protagonisti. Questa parte più narrativa e cinematografica è alternata con riprese del concerto-spettacolo e con interviste ai personaggi più interessanti della musica popolare pugliese. Una sorta di contaminazione di generi e di tecniche, visto che la parte fiction è girata in pellicola, mentre il conceto e le interviste girante in digitale e super 8.

Craj può essere anche definito il Buena Vista Social Club italiano?
Musica differente, ma età e spirito dei musicisti del tutto simile. Dai Cantori di Carpino al maestro della pizzica Uccio Aloisi fino a Matteo Salvatore, purtroppo scomparso due settimane fa, sono tutti musicisti fra i settantotto e gli ottantanove anni, che raccontano come per loro la musica abbia rappresentato una cura poetica contro la fame e la povertà.

Craj, un esordio vincente

di Sara Zucchi (07/10/05)

Nonostante le difficoltà che oggi affronta il cortometraggio nel mostrarsi al pubblico Davide Marengo, regista di corti, appunto, ma anche di pubblicità, videoclip e backstage, non ha trovato moltissimi ostacoli nel mostrare quella sua capacità di trasmettere emozioni. Ma alla Mostra di Venezia non è stato grazie a un corto che è riuscito a trovare consensi, applausi e anche un premio.
Il suo "Craj", infatti, film proiettato come evento speciale nelle Giornate degli Autori, ha vinto il Premio Lino Miccichè per la miglior opera prima. Un film fortunato, quindi, quello che racconta il viaggio del Principe Floridippo (interpretato da Giovanni Lindo Ferretti) e del suo servo Bimbascione (portato sullo schermo da una bravissima Teresa De Sio) attraverso la Puglia, nella terra della Taranta e dei suoi cantori, alla riscoperta di tradizioni musicali e popolari.
Noi di Cinecorriere lo abbiamo raggiunto telefonicamente mentre era ancora a Venezia per rivolgergli alcune domande.

Come mai la scelta del titolo Craj?
In realtà non abbiamo fatto altro che riprendere il titolo originale dell'opera teatrale-musicale ideata e diretta da Teresa De Sio, scritta in collaborazione con Giovanni Lindo Ferretti. In dialetto significa "domani" e questo domani è rappresentato dalla memoria che vorremmo rimanesse indelebile.

Parlaci della scelta di trasformare un'opera teatrale in lungometraggio.
Tempo fa ho fatto un viaggio in Puglia e sono rimasto colpito dalle tradizioni di questa terra, e quando sono venuto a conoscenza della tournè di Teresa l'ho subito contattata. Dopo averlo visto, bhe, lei ha accettato subito di collaborare alla realizzazione di questo mio desiderio, e insieme a Paola Papa abbiamo realizzato Craj. E' un misto di favola, documentario e concerto.

Hai trovato difficolta nel trovare chi finanziasse il tuo progetto? E che effetto ti ha fatto arrivare a Venezia con il tuo primo lungometraggio, tra l'altro così fuori dagli schemi?
Sinceramente difficoltà non ne ho trovate... Craj è stato realizzato abbastanza velocemente grazie al produttore Gianluca Arcopinto. Per quanto riguarda Venezia è stata una bella sensazione. Una grande emozione, perchè non ero solo alla Mostra ma anche in una rassegna importante come quella delle Giornate degli Autori. E poi il premio...

Premio che hai voluto dedicare alla memoria di uno dei protagonisti...
Si il 27 agosto è venuto a mancare Matteo Salvatore, un maestro. Era una radice nella storia di cantori pugliesi, peccato non abbia potuto vedere terminato il lavoro.

For those who keep a close eye on the short film "set", the name of Davide Marengo is linked above all with Dead Train, a film from a few years ago, among the few that managed to obtain the privilege of cinema distribution (...)

from shortvillage
by Laura Pugno

When and how did you start your voyage into the world of short film?
In 1995. By then I had accumulated a fair bit of experience as a director's assistant, and in those circles the short was always spoken about as a kind of visiting card. That was how the collaboration with an old school friend of mine, Tommaso Ragnisco, who does special effects, came about. We decided to film a short that would bring together his and my talents, and to co-produce it between us. I worked on an idea starting from the premise that I should leave ample space within the structure of the story for the use of special effects. The short is called Shit! and the title is pretty self explanatory: the real protagonist is Isa Gallinelli, who after a series of misadventures in a public lavatory explodes with shit…and that's where the special effects came into play, not technological naturally, but manual.

Shit! brought you a lot of luck…
It certainly did. Tommaso and I were actually chosen for the first Nanni Moretti's Sacher Festival, even if Shit! is a short film which is in no way like the work of Moretti, and we began to go round the short film festivals and win prizes too.

Two years later you have worked with Antonio Albanese.
That short was called Dead Train, and it was written by Filippo and Dino Gentili. At the time I was working backstage on Uomo d’acqua dolce, and I asked Albanese to read the screenplay. An hour later he called me and said: "Not only will I appear in this short, I'll produce it as well". And that was how it went. Albanese produced the short along with his agent, Luisa Pistoia of Luisa Pistoia Management. Also, Antonio was about to do a film with Cecchi Gori, and so it was natural to ask if there was any chance of combining Dead Train with a Cecchi Gori film for distribution purposes. They asked if Deconstructing Harry was ok as it was the right length… and so the short came out all over Italy together with a Woody Allen film!

After what did you do?
I shot another short. It was called La stretta di mano (The Handshake) and I'll finish it in the next few days. Orisa Film courageously produced the short, using state financing but taking on a series of advance payments and some serious economic commitments: we were the first to take advantage of the funding made available for short films. Isa Gallinelli appears again, in these three films of mine, and Alessandro Benvenuti as well, who performed his role beautifully.

What is La stretta di mano (The Handshake) about?
It tells the fantastic story of a little boy who loves Napoleon, and who receives a handshake on behalf of the Emperor from Alessandro Benvenuti. Benvenuti's hand actually perpetuates a series of handshakes that came from the last time that Napoleon gave his hand to someone. Our little protagonist decides not to shake hands with anyone again, even when he finds himself at a party, where the temptation is strong. Napoleon's handshake however gets "stolen" when someone seizes his hand by surprise, and the short continues with his attempts to get it back in the midst of the party.

You shoot in film. How much did these three films cost?
The first, that was self-financed, less than five thousand euro, the second, about fifty thousand euro and the same for the third.

Do you prefer to film and that's all, or to also be involved in the scriptwriting phase?
The second option. I wrote the screenplay for Shit! completely alone, and that of Dead Train was a collaboration, while for La stretta di mano I worked for the subject and for the script.

When it came to shooting your own short films, you already had a lot of experience as a director. What has the short given you?
In fact I had already learnt my trade shooting music videos and advertisements for a living. The short, however, taught me to tell little stories, in anticipation of the day when I'd be able to recount a long one. It seems like a paradox, but I think it is even harder to make a short than a feature length film. I know some people who have put their houses at risk in order to make their first short film, without mentioning that not all aspiring directors have a house to use for financing. All the work of a creative director, preparing the actors, being on the set, getting into the editing, is a marvellous experience, even if it hasn’t lasted long, until now, for me: at the end of the day, I have spent three weeks directing in eight years (...)